Segnali Che La Chemioterapia Funziona?
Cosa si prova quando si fa la chemio? Effetti collaterali della chemioterapia
- affaticamento e dolore,
- nausea e vomito,
- diminuzione delle cellule ematiche,
- perdita dei capelli,
- ulcere nella cavità orale.
Quando si vede se la chemio fa effetto?
Gli effetti possono manifestarsi tra i sette e i 14 giorni dopo la somministrazione dei farmaci. L’effetto è temporaneo e solitamente il recupero avviene in tempo per riprendere il trattamento.
Quando la chemio non fa più effetto?
Essendo tossica per i tessuti sani li stimola a produrre delle sostanze che difendono l’organismo e il tumore dall’effetto dei farmaci. Il problema soprattutto nei tumori in stadio avanzato. La soluzione? Potrebbe trovarsi nello sviluppo di cure oncologiche personalizzate.
- 06 AGO – Il meccanismo dietro allo sviluppo della resistenza alla chemioterapia potrebbe oggi essere stato spiegato: lo stesso trattamento minerebbe in un certo senso la sua efficacia.
- Attaccando anche le cellule sane le stimola infatti a produrre una proteina che aiuta il cancro a combattere la cura.
L’inaspettata scoperta è stata pubblicata su Nature Medicine da ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. Secondo gli scienziati sarebbe per questo motivo che molti pazienti con cancri metastatici non rispondono bene alla terapia.
- È infatti circa il 90% dei pazienti con masse tumorali maligne (come quelle riscontrate nei carcinomi mammari o prostatici, o nei cancri al colon o ai polmoni) che hanno dato metastasi, a sviluppare resistenza alla chemioterapia.
- In particolare la responsabilità sarebbe dei fibroblasti, cellule del tessuto connettivo che di solito giocano un ruolo cruciale nel guarire ferite e nel produrre collagene, o meglio di una particolare proteina da loro prodotta, dalla poco intuitiva sigla di WNT16B.
La creazione di questa molecola, che fa parte di una famiglia di sostanze utili nella morfogenesi dei tessuti, subirebbe un incremento di 30 volte rispetto al normale a causa dei danni al Dna causati dalla chemioterapia: in questo modo le cellule tumorali sarebbero indotte a crescere e invadere i tessuti circostanti al luogo di sviluppo primario del cancro.
La principale causa del fallimento della chemioterapia nel trattamento dei tumori in stadio avanzato è infatti il problema che la dose di farmaco necessaria a liberare definitivamente i pazienti dalla malattia è altamente tossica. “In laboratorio siamo potenzialmente capaci di curare ogni tipo di cancro, il problema è che in vivo non possiamo usare quelle stesse quantità di sostanze, poiché per gli esseri umani quei farmaci a quelle dosi sono letali”, ha spiegato Peter Nelson, coordinatore dello studio.
Per questo di solito si usano dosi minori, intervallate da pause nel trattamento per far disintossicare l’organismo, che però non bastano a liberare il corpo dal tumore, che dunque diventa resistente. Alla luce di questa scoperta, secondo i ricercatori, sviluppare terapie personalizzate e dunque mirate alle sole cellule tumorali è un campo di ricerca di ancor maggiore interesse.
“I trattamento contro il cancro si evolvono nella direzione di sempre maggiore specificità, in modo da colpire i soli motori molecolari del cancro e lasciare intatti altre cellule e il Dna contenuto al loro interno”, ha aggiunto Nelson. “I risultati dimostrano anche che l’ambiente microscopico intorno al tumore può influenzare la riuscita delle terapie”.
“Si tratta di un lavoro che si aggiunge a quelli che dimostrano come i trattamenti anti-cancro non hanno effetti sulle sole cellule tumorali, ma anche su quelle sane”, ha commentato Fran Balkwill, esperto inglese di ricerca sul cancro, riprendendo un concetto che avevano sottolineato proprio la settimana scorsa anche due ricercatori italiani, Lorenzo Mantovani, esperto di Farmacoeconomia all’Università Federico II di Napoli, e Nicola Normanno, direttore del dipartimento di Ricerca dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione G.
Pascale, intervistati da Quotidiano Sanità, “Spesso l’interazione con le cellule circostanti può essere produttiva – ha spiegato Balkwill – ad esempio se la chemioterapia stimola le difese ad attaccare il tumore. Ma talvolta succede anche che sia appunto questa a rendere il tumore ancora più resistente”.
Chiaramente va ricordato che le terapie oncologiche personalizzate non funzionano per ogni tipologia di tumore, e che solo alcuni pazienti hanno le caratteristiche per poter essere trattati con i farmaci molecolari. Come ci aveva detto Normanno, va specificato dunque che “la chemioterapia ha salvato e continuerà a salvare moltissime vite umane”.06 agosto 2012 © Riproduzione riservata Altri articoli in Scienza e Farmaci Quotidianosanità.it Quotidiano online d’informazione sanitaria. QS Edizioni srl P.I.12298601001 Sede legale: Via Giacomo Peroni, 400 00131 – Roma Sede operativa: Via della Stelletta, 23 00186 – Roma Direttore responsabile Luciano Fassari Direttore editoriale Francesco Maria Avitto Presidente Ernesto Rodriquez
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Quanto tempo rimane in circolo la chemioterapia?
Chemioterapia e tumore alle ovaie – In caso di tumore alle ovaie, chemioterapia e radioterapia insieme possono essere effettuate in forma adiuvante prima dell’operazione chirurgica per ridurre le dimensioni del tumore aumentando le probabilità di successo dell’intervento chirurgico.
I tumori dell’ovaio sono molto sensibili ai chemioterapici, che nella maggior parte dei casi portano alla riduzione delle dimensioni del tumore e, in un considerevole numero di casi, all’eliminazione di un residuo tumorale microscopico dopo la chirurgia. Si somministra iniettando i farmaci direttamente in vena nel corso di sedute di trattamento della durata ciclo chemioterapia normalmente di alcune ore.
In alcuni casi, per la chemioterapia durata ciclo diviene di qualche giorno. Di solito si esegue in day hospital o in regime ambulatoriale, anche se in alcuni casi è necessaria una breve degenza. Segue un periodo di riposo di alcune settimane per consentire all’organismo di riprendersi dagli eventuali effetti chemioterapia.
Quando la chemio abbassa i globuli bianchi?
Gli effetti collaterali della chemioterapia – Gli effetti collaterali della chemioterapia sono spesso la maggior causa di preoccupazione per chi si ammala di cancro. Tuttavia questi sono molto variabili da trattamento a trattamento e da individuo a individuo,
si è dimostrato che in alcuni casi è possibile ottenere un risultato ugualmente efficiente con dosi di farmaci inferiori a quelle usate in passato;talvolta si può raggiungere lo scopo aggiungendo al “cocktail” di medicinali (le associazioni di diversi chemioterapici) altre sostanze più tollerate, in modo da poter ridurre la dose di quelle più tossiche;sono stati messi a punto vari trattamenti, farmacologici e non, per tenere più sotto controllo gli effetti collaterali indesiderati.
Prima di iniziare la terapia si può chiedere al proprio medico quali sostanze verranno somministrate e quali effetti collaterali ci si può attendere, ricordando comunque che:
la maggior parte di questi effetti indesiderati è di breve durata;spesso cominciano ad attenuarsi e svanire con la fine del trattamento;esistono farmaci e metodi per alleviare alcune delle conseguenze.La probabilità di effetti collaterali a lungo termine è relativamente contenuta.
Inoltre, sono molti gli studi in corso per lo sviluppo di test predittivi in grado di prevedere quali pazienti potranno trarre benefici dalla chemioterapia, risparmiando così inutili effetti collaterali a chi non ne avrebbe vantaggio. Stanchezza Il senso di affaticamento che si può provare quando si è affetti da cancro, sia prima sia durante le cure, è particolarmente intenso e prolungato e ha un nome specifico, fatigue, un termine inglese usato anche in Italia.
l’azione dei farmaci;l’accumulo dei farmaci che devono essere metabolizzati e smaltiti da organi come fegato e reni;l’impegno dell’organismo nella lotta contro la malattia;la mancanza di sonno;la difficoltà a mangiare adeguatamente;la possibilità che sia subentrata un’anemia;il basso livello di globuli bianchi dovuto al trattamento.
Si può avvertire la stanchezza in maniera più marcata nei giorni in cui ci si sottopone alla chemioterapia e in quelli immediatamente successivi. Soprattutto in queste fasi è bene, quindi, chiedere aiuto a parenti e amici, per esempio per le incombenze domestiche e la cura dei figli, e prevedere eventuali riduzioni dell’orario e/o assenze dal lavoro, o considerare una modalità di smart working.
- In generale, comunque, bisogna cercare di organizzarsi per assecondare l’organismo che chiede riposo, senza pretendere da se stessi sforzi eccessivi.
- Disturbi digestivi Le cellule che rivestono le mucose dell’apparato digerente, poiché sono soggette a un continuo ricambio, sono tra quelle che risentono di più dell’azione dei farmaci usati per la chemioterapia.
È comune quindi che durante il trattamento si verifichino alcuni di questi disturbi. Nausea e vomito Non tutti i medicinali usati in chemioterapia provocano nausea e vomito. Anche per quelli che di solito causano questi disturbi, è impossibile prevedere se lo faranno e in che entità.
I disturbi possono manifestarsi a partire da alcuni minuti fino a diverse ore dopo la somministrazione del farmaco, e durare per ore, più raramente per qualche giorno. Se la sostanza ha determinato questi sintomi la prima volta, è probabile che lo farà anche nelle somministrazioni successive. I medici possono tenerli sotto controllo con farmaci detti antiemetici, che di solito vengono iniettati in vena insieme ai chemioterapici e poi possono essere assunti per via orale o intramuscolare a casa.
Vanno presi regolarmente anche se ci si sente abbastanza bene, perché questi prodotti sono più efficaci nel prevenire i disturbi piuttosto che nel curarli quando si sono già manifestati. Possono essere utili anche alcune strategie alimentari, come per esempio frazionare i pasti in più spuntini durante il giorno, scegliendo cibi secchi ed evitando quelli piccanti o con odore e sapore troppo forti (maggiori informazioni sono disponibili qui ).
è particolarmente violento o prosegue per più di uno o due giorni;impedisce di bere;compare senza ragione apparente (per esempio a distanza di tempo dall’ultima seduta di chemioterapia).
Dolore, infiammazione e ulcere in bocca Questi disturbi possono comparire dopo cinque-dieci giorni dall’inizio della chemioterapia e risolversi gradualmente entro tre-quattro settimane dal termine del trattamento. Il medico potrà consigliare dei risciacqui, per evitare che le ulcere si infettino, e degli analgesici per tenere a bada il dolore, in modo che non impedisca di mangiare e bere.
Sapore cattivo o alterazione del gusto Alcuni medicinali usati in chemioterapia modificano il gusto dei cibi che può risultare più salato, amaro o metallico. Il fenomeno regredisce alla fine del trattamento ma prima che passi a volte sono necessarie alcune settimane. Perdita di appetito, diarrea o stipsi Non c’è da preoccuparsi se non si riesce a mangiare il giorno del trattamento o quello successivo, purché poi torni l’appetito tra una seduta e l’altra.
È importante invece bere molto, per evitare la disidratazione, soprattutto se le cure causano diarrea. Se compare stipsi, si può cercare di rimediare anche con una dieta ricca di fibre. Tutti questi effetti collaterali si combattono con i medicinali prescritti o somministrati direttamente dal medico insieme alla chemioterapia, ma anche con un’alimentazione adatta.
febbre alta;sensazione di freddo e brividi;tosse;mal di gola;mal di testa;dolore muscolare.
Il calo dei globuli rossi può portare ad anemia, per la quale ci si può sentire particolarmente stanchi o può mancare il fiato, mentre la diminuzione delle piastrine può facilitare i sanguinamenti dalle mucose o la formazione di lividi ( ecchimosi ).
Se questi effetti della chemioterapia si fanno particolarmente impegnativi, i medici possono provvedere con appositi farmaci o con trasfusioni di sangue. Caduta dei capelli, disturbi alla pelle e alle unghie La caduta dei capelli, dei peli, di ciglia e sopracciglia è considerata un segno caratteristico della chemioterapia e anche per questo è una delle conseguenze più temute dai pazienti: non solo perché incide in maniera significativa sulla propria immagine, ma anche perché rende evidente a chiunque il proprio stato di malattia.
In realtà, non tutti i farmaci usati per la cura dei tumori provocano questo effetto indesiderato, né tutti lo fanno con la stessa intensità; alcuni rendono solo i capelli più fini e radi. Inoltre è bene ricordare che il fenomeno è reversibile e che i capelli ricominciano a crescere dopo poche settimane dalla fine del trattamento.
In genere la capigliatura recupera l’aspetto precedente alla terapia entro quattro-sei mesi dal termine delle cure, anche se è possibile che ricrescendo i capelli acquistino un colore diverso o risultino più ricci. Nel frattempo, se non ci si sente a proprio agio, è possibile ricorrere a foulard, cappelli o parrucche, che però possono risultare fastidiose, soprattutto d’estate.
In ogni caso conviene chiedere informazioni al personale infermieristico: molti centri prevedono consulenze specifiche su questi aspetti, compreso il trucco con i cosmetici adatti a mascherare gli effetti più visibili delle cure. In alcuni casi è possibile cercare di prevenire la caduta dei capelli indossando durante le sedute una particolare cuffia ghiacciata : riducendo l’apporto di sangue al cuoio capelluto si cerca di diminuire anche la quantità di farmaco che raggiunge i bulbi piliferi.
- Il metodo comunque non è utilizzabile in tutti i casi, per cui è necessario discuterne in anticipo con il proprio medico.
- Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono rendere la pelle secca e sensibile o provocare reazioni cutanee, per cui è bene utilizzare sempre una crema protettiva quando ci si espone al sole.
Anche le unghie ne possono risentire, diventando secche, scheggiate o striate. Alterazioni nervose Talvolta la chemioterapia può provocare una neuropatia periferica, che si manifesta con alterazioni della sensibilità, formicolii e la sensazione di essere punti da aghi, soprattutto alle mani e ai piedi.
In genere regredisce al termine delle cure, ma solo dopo diversi mesi. Le cure possono inoltre compromettere in varia misura l’ udito, Anche questo fenomeno può essere transitorio, ma, se vi accorgete di sentire male, avvisate il medico, che potrà talvolta adeguare il dosaggio dei farmaci. Danni ad altri organi Dei trattamenti chemioterapici contro il cancro possono talvolta risentire, in maniera transitoria o permanente, alcuni organi (cuore, fegato, reni e polmoni).
Sarà cura dei medici valutare fin dall’inizio le cure più adatte al singolo paziente, in relazione ad altri eventuali problemi di salute preesistenti, oppure cambiare terapia nel caso si manifestasse sofferenza a livello di queste importanti parti dell’organismo.
Alcuni tipi di chemioterapia possono anche favorire la formazione di trombi, vale a dire coaguli di sangue all’interno di una vena o un’arteria. Nel caso in cui una gamba si gonfiasse oppure il paziente sentisse mancare il respiro, è importante avvisare subito il proprio medico. Infine, possono manifestarsi, in forma transitoria, problemi di tipo cognitivo (il cosiddetto ” chemo brain” o effetti della chemio sul cervello), come alterazioni della memoria e difficoltà a concentrarsi.
Conseguenze sulla sessualità La stanchezza provocata dalla malattia e dalle cure e la preoccupazione per la propria salute possono togliere interesse per la vita sessuale, È importante tuttavia mantenere aperto il dialogo con il partner anche su questo tema delicato, ed eventualmente chiedere aiuto a personale esperto.
Oltre agli aspetti psicologici ci possono essere anche difficoltà di tipo fisico : le mucose femminili, danneggiate dalla chemioterapia, possono rendere doloroso il rapporto. In questo caso ci si può aiutare con un gel lubrificante. Molti farmaci usati in chemioterapia potrebbero provocare malformazioni in un eventuale feto, per questo per le coppie in età fertile può essere importante avere a disposizione dei metodi contraccettivi sicuri.
Peraltro, sebbene i farmaci in genere non passino nello sperma e nel liquido vaginale, l’uso del preservativo può evitare di trasmettere al partner anche piccole quantità di sostanze farmacologicamente attive.
Come ti fa sentire la chemio?
In breve –
La chemioterapia può salvare la vita perché utilizza farmaci capaci di distruggere le cellule che proliferano attivamente, come quelle tumorali, bloccando così la progressione e la diffusione della malattia.Alcune cellule del nostro corpo condividono con le cellule tumorali una caratteristica: la capacità di crescere molto rapidamente. Per questo i farmaci chemioterapici, che agiscono sulla capacità delle cellule di moltiplicarsi, possono distruggere anche alcune cellule sane che si riproducono con altrettanta rapidità. Tra queste ci sono le cellule del sangue, quelle dei follicoli piliferi, le cellule che rivestono la bocca, lo stomaco e l’intestino, e quelle degli organi riproduttivi.Tra gli effetti collaterali della chemioterapia vi sono la perdita di capelli, l’anemia, la stanchezza, la nausea, il vomito, la diarrea, le infezioni, la formazione di lividi o piccole emorragie e anche problemi di tipo cognitivo (“chemo brain”).I tessuti normali hanno la capacità di rimediare a questi effetti negativi una volta che la terapia è terminata, e per questo la probabilità di effetti collaterali a lungo termine è relativamente contenuta,I ricercatori continuano a studiare e proporre nuove associazioni di farmaci e nuovi schemi di somministrazione per rendere la chemioterapia più efficace contro il tumore e meno dannosa per il resto dell’organismo.
A cosa serve il cortisone durante la chemioterapia?
Cortisonici – Spesso nei tumori cerebrali si rende necessario somministrare farmaci a base di cortisone, per periodi più o meno brevi, allo scopo di ridurre l’ edema, ossia la quantità di liquido che circonda il tumore e che comprime i fasci nervosi. Il cortisone contribuisce a ridurre l’edema, migliorando spesso sensibilmente i sintomi che questo causa. I farmaci cortisonici si possono somministrare per bocca, per via intramuscolare o endovenosa, in genere una volta al giorno, al mattino, ma se necessario anche due o più volte al giorno, ogni 12 ore. Gli effetti collaterali del trattamento possono essere ritenzione di liquidi (con lieve gonfiore del volto e degli arti inferiori), aumento della glicemia e insonnia; per limitarli o prevenirli, è bene ridurre il consumo di sale e zucchero e svolgere un’attività fisica moderata. In caso di necessità, si possono assumere farmaci in grado di facilitare il sonno. Il trattamento prolungato con cortisonici può ridurre le difese immunitarie con conseguente possibilità di infezioni quali, ad esempio, la stomatite da Candida albicans o mughetto a carico del cavo orale. Inoltre, può favorire l’ osteoporosi e un’accentuata pesantezza agli arti inferiori con riduzione della massa muscolare. Per prevenire l’osteoporosi si possono assumere farmaci che favoriscono la fissazione del calcio a livello osseo; in generale, è importante mantenere una buona attività fisica. Il trattamento prolungato con i cortisonici può indurre anche miopatia, che si manifesta con una diminuzione della forza muscolare, specialmente a livello del quadricipite femorale. I pazienti riferiscono spesso di affaticarsi più rapidamente durante le attività che comportano l’esecuzione di scatti di potenza improvvisi. Spesso la perdita di massa muscolare è evidente, ed è importante ricordare che l’esercizio fisico è utile a limitarne l’entità. Tutti gli effetti collaterali tendono a regredire gradualmente via via che la dose di cortisone si riduce. La terapia non deve mai essere interrotta bruscamente, ma sempre secondo le indicazioni del medico.
Quali sono le metastasi più pericolose?
Metastasi cerebrali da tumore al seno : le più pericolose.
Quante possibilità ci sono di guarire da un tumore?
Figura 2. Tempo per la guarigione dopo un tumore in Europa – Per i pazienti che non guariranno, lo studio ha mostrato che la sopravvivenza mediana è generalmente aumentata nei 10 anni di osservazione dello studio. Varia molto tra le forme tumorali: da circa 10 anni per i pazienti con leucemie linfatiche croniche a meno di 6 mesi per i pazienti con tumori del fegato, pancreas, polmone e sistema nervoso centrale, è di oltre 5 anni per i pazienti che non guariscono dopo tumori della mammella e della prostata.
- Per i malati di cancro, lo studio fornisce solide conferme a un’evidenza di grande rilievo socio-sanitario: sono molti i tumori dai quali si può guarire e non solo essere curati.
- Gli indicatori sono stati calcolati per la prima volta in modo sistematico a livello europeo per tipo di tumore, per sesso e per gruppi di età.
Letti congiuntamente, restituiscono lo stato dell’arte sulla capacità dei sistemi sanitari e delle moderne tecnologie di affrontare e sconfiggere, in un’ottica di guarigione, le numerose forme di malattie neoplastiche. Sapere quali sono i tempi di guarigione fornisce un sostegno alle iniziative di supporto al pieno recupero delle persone cui è stata diagnosticata una malattia tumorale.
Queste evidenze offrono ai clinici l’opportunità di calibrare meglio i loro interventi sui pazienti e consente anche ai decisori politici di organizzare l’assistenza oncologica nella maniera più efficace ed efficiente. Lo studio con i dettagli dei metodi utilizzati e dei risultati è pubblicato su Int J Epidemiology 2020, Dal Maso L, Panato C, Tavilla A, Guzzinati S, Serraino D, Mallone S, Botta L, Boussari O, Capocaccia R, Colonna M, Crocetti E, Dumas A, Dyba T, Franceschi S, Gatta G, Gigli A, Giusti F, Jooste V, Minicozzi P, Neamtiu L, Romain G, Zorzi M, De Angelis R, Francisci S, and the EUROCARE-5 Working Group.
Chemioterapia: I 10 MITI SFATATI
The cure of cancer in Europe: results from the EUROCARE-5 study for 32 cancer types. Ringraziamenti: EUROCARE-5 Working Group, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e Commissione Europea (IPAAC).
Quando un tumore è in stadio avanzato?
Il tumore in stadio avanzato è un tumore che non si può rimuovere chirurgicamente dalla sede iniziale o che si è diffuso oltre la sua sede iniziale.
Perché viene la febbre dopo la chemioterapia?
I tumori talvolta regrediscono. Si grida al miracolo, ma spesso una ragione scientifica esiste. Riuscire a conoscerla ci potrebbe aiutare a trovare nuove strategie per combattere il tumore. E la febbre, in questo contento di guarigioni dal tumore, ha un ruolo di primo piano.
- Quando si verificano fenomeni che ancora non sappiamo spiegare si grida al miracolo.
- Uno di questi fenomeni è per esempio quello delle guarigioni spontanee.
- E le guarigioni spontanee da mali cosiddetti “incurabili” sono considerate ancora più miracolose.
- Eppure in molti casi la spiegazione sembra esserci.
Le prime segnalazioni di guarigioni spontanee da tumori risalgono al 1918, ma le più recenti sono comparse su riviste accreditate e Uwe Hobohm, docente di bioinformatica alla Giessen Universität, in Germania, studiando la casistica pubblicata finora sulle riviste scientifiche, ha calcolato che negli ultimi 40 anni si siano verificati mediamente 12-24 casi l’anno di regressioni temporanee durate mediamente più di 5 anni o addirittura di guarigioni inspiegabili.
Pochi casi, ma importanti Certo in alcuni casi probabilmente si trattava di diagnosi errate: non erano tumori. Ma questo riguarda prevalentemente i casi dei primi anni del secolo scorso. Ma le ultime revisioni, fatte nel 1990, si basano su esami istologici confermati, e in base a questi dati Hobohm calcola circa da 1 a 10 remissioni spontanee ogni milione di casi di tumore.
Non sono tante, ma forse se si riuscisse a spiegarle si potrebbero avere idee nuove per la ricerca di nuove terapie. Secondo alcuni per esempio sarebbero importanti le influenze ormonali, in altri casi potrebbe essere entrato in gioco il sistema immunitario.
Ma, nonostante gli sforzi degli ultimi decenni, non siamo ancora giunti a una spiegazione della regressione spontanea nell’uomo e negli animali scrive per esempio nel 2003 sulla rivista scientifica Pnas un gruppo di ricercatori del Cancer center della Wake Forest University di Winston Salem nella Carolina settentrionale.
Il ruolo del sistema immunitario Ci sono però alcuni fattori che sembrano essere particolarmente interessanti. Le cellule tumorali derivano dalle cellule sane del paziente, e quindi per il sistema immunitario sono “self”, non estranei da combattere. In altre parole il sistema immunitario è tollerante nei loro confronti e molte di queste guarigioni potrebbero essere spiegate se si riuscisse a dimostrare che qualcosa ha reso intollerante il sistema immunitario.
- Molta ricerca contemporanea punta a svegliare il sistema immunitario contro i tumori, ma finora i risultati ottenuti sono stati solo di parziale risveglio, di brevi regressioni. Ma.
- Se c’è la febbre Il primo ricercatore che segnalò queste regressioni spontanee (era il 1918) scrisse allora che «il maggior numero di regressioni spontanee si sono verificate dopo la rimozione chirurgica incompleta della massa tumorale; subito dopo – in frequenza – ci sono i casi di remissione dopo febbri acute».
La causa più importante della febbre erano le infezioni, vuoi l’ erisipela, una forma di infezione acuta della pelle, ma anche vaiolo, polmonite, malaria e la tubercolosi in fase acuta. Arriva la radioterapia e la “febbre-terapia” viene accantonata Non a caso a partire dal 1868 si indussero infezioni in pazienti tumorali e in alcuni casi si ottennero regressioni radicali con lo Streptococcus pyogenes, il batterio responsabile dell’erisipela, chiamato poi tossina di Coley, da Wiliam Coley, il ricercatore americano che nel 19° secolo sistematizzò questo tipo di terapia facendo regredire un numero consistente di tumori allora considerati inoperabili.
Poi fu scoperta l’azione della radioterapia e la terapia di Coley fu accantonata anche perché non ben standardizzata (non si sapeva come preparare la “tossina”, quanta iniettarne, dove, quante volte ecc). Oggi, a una analisi delle pubblicazioni di Coley sembra che ci sia una stretta correlazione fra la concentrazione della preparazione, l’elevazione della febbre e la durata della terapia e il tasso di remissione.
Ma in alcuni casi i risultati erano strabilianti: se le iniezioni di batterio venivano protratte per 6 mesi, l’80% dei pazienti con sarcomi inoperabili che venivano così trattati sopravviveva da 5 a 88 anni! Nuove ricerche Questi esperimenti sono stati ripresi anche recentemente, ma nessuno ha osservato la correlazione fra l’entità della febbre e il risultato.
- I pochi studi che hanno scatenato una febbre elevata (40 °C) per parecchie settimane sono quelli che sembrano aver avuto i risultati migliori quanto a remissione.
- Insomma, è come se la febbre avesse la capacità di guarire anche queste patologie.
- Le cellule tumorali infatti sono più sensibili al calore delle cellule sane.
E infine la febbre sembra generare un segnale che le cellule del sistema immunitario. Non a caso la terapia immunologica dei tumori usa oggi le citochine pyrogeniche, le stesse citochine fuochiste che inducono il rialzo termico. Sono le interleukine 1 e 6, i fattori di necrosi tumorale, l’inteferone alfa e altre.
Qual è la chemio più leggera?
TUMORI – 2 marzo 2019 – 18:37 Farmaci chemioterapici da prendere a domicilio, a basso dosaggio, anche tutti i giorni al posto dei tradizionali cicli che sono spesso difficili da sopportare per i pazienti. La chemioterapia metronomica una strategia innovativa che conquista consensi a livello internazionale: prevede di poter prendere le stesse pillole anticancro, ma con una posologia inferiore e una frequenza che va dal quotidiano alle due-tre volte alla settimana.
Cosa mangiare durante la chemio per aumentare i globuli bianchi?
Da preferire: cereali integrali e legumi (lenticchie rosse e legumi interi) sotto forma di crema, riso integrale, verdura verde, pesce azzurro, frutta secca non salata, soia e olio extravergine di oliva.
Perché la chemio gonfia?
Cause – Si può ingrassare per diverse ragioni:
- Chi è affetto da certi tipi di tumore ha maggiori probabilità di ingrassare.
- La terapia ormonale, alcuni tipi di chemioterapia e i farmaci come i cortisonici possono far ingrassare. La causa dell’aumento di peso può essere la ritenzione idrica, che vi farà sentire gonfi e causerà direttamente un aumento dei chili visibili sulla bilancia. Anche diverse terapie ormonali possono essere causa di variazioni di peso.
- Alcune terapie possono aumentare l’appetito: avrete fame e mangerete di più. Ingrasserete perché assumerete più calorie di quelle effettivamente necessarie per l’organismo.
- Il tumore e la terapia possono causare affaticamento e cambiamenti nell’organizzazione della vostra vita che probabilmente vi renderanno meno attivi. Facendo meno attività fisica il vostro peso aumenterà.
Non mettetevi a dieta se non sotto stretto controllo medico. Il medico vi aiuterà a capire perché state ingrassando e discuterà con voi le possibili soluzioni; una dieta dimagrante mal progettata durante la malattia può causare più danni che benefici.
Quale vitamina fa aumentare i globuli bianchi?
Tra i minerali da segnalare c’è lo zinco mentre le vitamine sono differenti come ad esempio la vitamina C che è importante per la produzione dei globuli bianchi.
Quanto dura il vomito dopo la chemioterapia?
I sintomi possono persistere per giorni dopo la somministrazione dei farmaci chemioterapici.
Come smaltire meglio la chemio?
Dopo la terapia E’ fondamentale bere liquidi perché aiuta a smaltire più rapidamente i metaboliti dei farmaci e quindi a prevenirne i possibili effetti tossici su reni e vescica.
Quali sono i dolori della chemioterapia?
Cos’è il dolore oncologico? – Il dolore è un meccanismo fisiologico di difesa con cui l’organismo segnala al cervello, tramite stimoli al sistema nervoso, la presenza di una minaccia interna o esterna all’integrità dell’organismo stesso. Scopo della stimolazione è che l’individuo allertato risponda alla minaccia, evitando così eventuali danni maggiori.
Tipico è l’esempio della sensazione che si prova a contatto con una fiamma, che istintivamente spinge a spostare la mano; o del dolore di un arto fratturato, che costringe all’immobilità, facilitando così la guarigione. Nel caso del cancro, tuttavia, uno studio condotto una decina di anni fa e pubblicato sulla rivista scientifica Pain ha valutato che solo nel 64% dei casi la comparsa di questo sintomo aiuta a diagnosticare la malattia.
Non tutti i pazienti oncologici infatti provano dolore. Si calcola che, durante la malattia, lo provi dal 30% al 50% dei pazienti; nelle fasi più avanzate, tuttavia, questo sintomo si fa più frequente, colpendo dal 70% al 90% dei pazienti. Nella maggioranza dei casi esiste però la possibilità di controllarlo.
Ognuno avverte il dolore in maniera individuale e non esiste una comune soglia di sopportazione, I medici lo sanno, per cui non si deve temere di chiedere sollievo, anche se altri pazienti con la stessa malattia sembrano tollerare meglio i sintomi dolorosi. Il dolore dovuto al cancro può essere acuto, per esempio quando è provocato dalle conseguenze immediate di un intervento, o cronico quando il sintomo tende a persistere per mesi, seppure con notevoli fluttuazioni della sua intensità in relazione all’andamento della malattia e delle cure.
Le fluttuazioni di intensità del dolore da cancro sono comuni e il verificarsi di episodi significativi di dolore che sfuggono al controllo di una terapia è stato definito breakthrough pain, o “dolore da sfondamento”; in questo caso il medico aggiungerà alla terapia un ulteriore antidolorifico da prendere al bisogno.
- Punture di spilli, formicolii, sensazione dolorosa di freddo o altre forme di alterazioni della sensibilità, bruciore o scosse (quando sono compressi o coinvolti nervi)
- Profondo, sordo o pulsante (per esempio quando è dovuto all’infiltrazione di un osso da parte della malattia)
- Trafitture o crampi (quando sono ostruiti o compressi dei visceri)
A volte il dolore può essere avvertito in una sede diversa da quella dell’organo colpito ( dolore riflesso ) oppure nonostante l’organo ammalato sia stato amputato chirurgicamente: è questo il caso della sindrome dell’arto fantasma, che può interessare anche il seno asportato nella mastectomia.
Come proteggere lo stomaco durante la chemioterapia?
Gastroprotezione e chemioterapia I farmaci antitumorali, non discriminando i tessuti normali da quelli bersaglio, hanno un basso indice terapeutico e possono manifestare effetti tossici in molti organi, soprattutto in quelli con cellule a rapida proliferazione. Poiché il tempo di rinnovamento della mucosa gastrica e duodenale è di circa due giorni, il rischio di danni indotti dalla chemioterapia in questa sede è elevato. Nell’animale, il cisplatino provoca lesioni a livello dello stomaco: bloccando il rilascio di acetilcolina dalle terminazioni nervose della muscolatura liscia causa uno spasmo dello sfintere pilorico che a sua volta, inibendo lo svuotamento gastrico, produce un eccessivo accumulo di acido cloridrico, gastrina e pepsina nello stomaco, responsabile dei danni alla mucosa che conducono alla lesione ulterativa 1, La somministrazione endovenosa o l’infusione tramite l’arteria epatica dei chemioterapici è stata associata a lesioni acute erosive, ulcerative ed emorragiche nello stomaco e nel duodeno. I dati di incidenza con la somministrazione endovenosa sono scarsi; in questo caso il danno acuto è probabilmente causato da una diminuzione del flusso sanguigno nella mucosa gastrica e di altri fattori difensivi (per esempio delle glicoproteine) così come da un aumento della secrezione acida. Oltre a segnalazioni relative ad alcuni casi, è stato pubblicato uno studio prospettico condotto su 32 pazienti sottoposti a gastroscopia prima e 8 giorni dopo la chemioterapia con cisplatino + VP16 2, Prima della chemioterapia l’esame è risultato negativo in 22 pazienti, mentre 10 presentavano lesioni minime ( 3 erosioni); a distanza di 8 giorni il 47% circa dei pazienti presentava lesioni maggiori: 11 pazienti con erosioni multiple, 1 con gastrite erosiva diffusa e 3 con ulcere (2 gastriche e 1 duodenale). Sulla tossicità gastroduodenale della chemioterapia infusa tramite l’arteria epatica sono invece disponibili numerosi studi retrospettivi. Si calcola che il 10-50% dei pazienti sottoposti a tale trattamento sviluppi gastroduodeniti erosive o ulcere; più raramente sono state descritte emorragie potenzialmente fatali. In questi casi il danno è dovuto ad un effetto tossico del farmaco infuso (fluorouracile) che inavvertitamente passa nelle arterie gastroduodenali e gastrica destra, o meno frequentemente, a erosione diretta del duodeno da parte del catetere. Sulla prevenzione del danno indotto da chemioterapia per via endovenosa sono stati pubblicati solo 5 studi controllati che hanno valutato l’efficacia di vari gastroprotettori 3-7, Nel primo studio, in doppio cieco, condotto su 38 pazienti affetti da malattie linfoproliferative e trattati con MOPP, COP, CHOP, BACOP, è stata confrontata l’efficacia della ranitidina (300 mg/die) con quella della pirenzepina (100 mg/die), un antagonista dei recettori muscarinici, ambedue somministrate per un periodo di 3-6 mesi 3, I due farmaci hanno determinato una protezione simile contro le lesioni gastroduodenali da chemioterapia. Purtroppo, la mancanza di un gruppo di controllo trattato con placebo non ha permesso di capire la reale efficacia dei farmaci utilizzati. Uno studio, in doppio cieco, effettuato su 60 pazienti sottoposti a vari trattamenti chemioterapici, ha confrontato la pirenzepina (100 mg/die) col placebo, somministrati per 12 settimane. L’incidenza delle erosioni gastroduodenali e delle ulcere (7% vs 55%), così come della dispepsia e del dolore epigastrico, è risultata significativamente inferiore con la pirenzepina 4, In un altro studio, in doppio cieco, è stata valutata l’efficacia della famotidina (20 mg x 2/die) rispetto al placebo in 55 pazienti con carcinoma del polmone non microcitoma sottoposti a 5 giorni di infusione continua di cisplatino più vindesina 5, Il criterio di valutazione adottato è stato il punteggio di Lanza, Dopo la chemioterapia, a livello gastrico il punteggio è risultato molto più basso con la famotidina rispetto al placebo e nei 42 pazienti senza sintomi rispetto ai 13 con sintomi. Inoltre, i pazienti con punteggio 3 erano significativamente più numerosi nel gruppo trattato col placebo (75% vs 48%). A livello duodenale il punteggio è aumentato in misura molto modesta in ambedue i gruppi di pazienti. In un altro studio 182 pazienti, sottoposti a chemioterapia con CMF o 5-FU, sono stati randomizzati a ricevere misoprostolo (400 mg x 2/die), omeprazolo (20 mg/die) o placebo 6, Utilizzando un’altra versione modificata del punteggio di Lanza si è osservato che, dopo la chemioterapia, il punteggio medio aumentava in modo significativo nei pazienti trattati con misoprostolo e con placebo, ma non nei pazienti assegnati all’omeprazolo. Le ulcere gastriche e duodenali sono state significativamente meno frequenti con l’omeprazolo (1,6%) che col misoprostolo (14%) o col placebo (22%). Con l’omeprazolo si sono ridotti anche i bruciori e i dolori epigastrici. L’ultimo studio, eseguito su 228 pazienti trattati con CMF o 5-FU, ha valutato l’efficacia di omeprazolo (20 mg/die), ranitidina (300 mg/die) e placebo 7, Dopo la chemioterapia, il punteggio medio è risultato più alto nei pazienti trattati con placebo o ranitidina rispetto a quelli trattati con omeprazolo, mentre le ulcere gastroduodenali acute sono state meno frequenti con omeprazolo (2,6%) e ranitidina (10,4%) rispetto al placebo (24%). Lo stesso è avvenuto per l’incidenza dei bruciori e dei dolori epigastrici. Un solo studio controllato in doppio cieco è stato pubblicato sui pazienti sottoposti a infusione di chemioterapia tramite l’arteria epatica 8, In 18 pazienti affetti da metastasi epatiche, il misoprostolo non si è dimostrato in grado di attenuare il danno gastroduodenale acuto rispetto al placebo (4/10 vs 3/8 pazienti, rispettivamente). Recentemente, è stata valutata l’embolizzazione dell’arteria gastrica destra come misura per ridurre la tossicità della chemioterapia 9, Una sufficiente embolizzazione è stata ottenuta in 192 su 217 pazienti; in questi pazienti l’incidenza di lesioni acute è risultata del 3% contro il 36% (9/25 pazienti) in coloro in cui non si era ottenuta una sufficiente embolizzazione dell’arteria. In conclusione, solo pochi studi hanno valutato l’incidenza del danno gastrico e duodenale da chemioterapia per via endovenosa. Cisplatino, VP16, CMF e 5-fluorouracile sono i farmaci coi quali è stata osservata una elevata incidenza di lesioni maggiori. Purtroppo, la storia naturale di questi danni non è nota ed è possibile che, così come la mielodepressione, essi siano autolimitanti. Nei pochi studi controllati eseguiti, la pirenzepina, un H 2 -antagonista (ranitidina o famotidina), e l’omeprazolo si sono dimostrati efficaci nel ridurre l’incidenza di tali danni e nel ridurre alcuni sintomi (dolori e bruciori epigastrici). Rimane da verificare se la riduzione dell’incidenza di erosioni e ulcere dovute all’uso di gastroprotettori determini anche una riduzione di eventi maggiori quali sanguinamenti o perforazioni. Nei pazienti sottoposti, invece, a infusione di chemioterapia tramite l’arteria epatica, l’incidenza di lesioni gastriche e duodenali è del 10-50%; i gastroprotettori non sembrano essere efficaci, mentre rimane da verificare l’utilità dell’embolizzazione dell’arteria gastrica destra. In ogni caso, in tali pazienti il trattamento dovrebbe essere immediatamente sospeso all’insorgenza di sintomi quali dolore all’addome superiore. Gastroprotezione e radioterapia La mucosa gastrica presenta un’elevata radiosensibilità, i cui effetti si traducono in danni sia morfologici sia funzionali. Tale caratteristica si riflette nella precoce soppressione della produzione di acido cloridrico e pepsinogeno, che si verifica dopo dosi modeste di radioterapia ( 15-20 Gy* ); per questo motivo la radioterapia è stata utilizzata in passato per il trattamento delle ulcere peptiche. Il meccanismo fisiopatologico del danno attinico acuto e cronico è ben definito 10, Studi clinici hanno dimostrato una correlazione tra danno microscopico e funzionale in pazienti sottoposti a radioterapia sulla regione gastrica. La gastrite attinica inizia una settimana dopo l’inizio della radioterapia e persiste in gradi diversi per 1 mese e più. Microscopicamente si verificano iperemia, edema, microemorragie ed essudati locali; tali modifiche non si accompagnano in genere a sintomi di rilievo. La restitutio ad integrum morfologico-funzionale può richiedere mesi o anche anni e dipende dalla dose totale erogata e dal tratto di stomaco irradiato. Dosi inferiori a 40 Gy raramente producono danni e/o sintomi duraturi (dispepsia). Per dosi di 45-50 Gy e oltre, il recupero morfologico e funzionale non è mai completo e la possibilità di sviluppare un’ulcera attinica complicata (emorragia e/o perforazione) è elevata. L’endoarterite progressiva obliterante è la principale lesione attinica responsabile delle sequele tardive a carico dell’apparato gastroenterico che può determinare, oltre ai danni suddetti, atrofia e fibrosi gastrica. I dati relativi alla gastrotossicità della radioterapia derivano da esperienze condotte inizialmente su linfomi, neoplasie del testicolo, neoplasie della sfera ginecologica e successivamente su irradiazione corporea totale, radioterapia palliativa in generale, neoplasie del pancreas e stomaco 11 – 17, L’analisi della letteratura consente di documentare che esiste una correlazione tra danno attinico, volumi di trattamento, dose totale e tipo di frazionamento radioterapico utilizzati. Le complicanze gastriche “maggiori” secondo la dose di radioterapia convenzionale erogata sono: gastrite nel 20% dei casi dopo 40-50 Gy, ulcera gastrica non complicata nel 15% dei casi con dosi uguali o maggiori di 50 Gy, infine ulcera complicata nel 6,10 e 16% dei pazienti sottoposti rispettivamente a 40-50 Gy, 50-60 Gy e più di 60 Gy. Nessun caso di ulcera si è verificato per dosi inferiori a 45 Gy 18,19, Viceversa, le percentuali del danno tardivo sono superiori quando vengono impiegati regimi di radioterapia non convenzionali e quando i volumi di trattamento includono tutto lo stomaco 20-22, La maggior parte dei dati pubblicati, pertanto, suggerisce che la tossicità gastrica è rara per dosi di radioterapia convenzionale inferiori o uguali a 45 Gy, viceversa il rischio aumenta per dosi totali superiori o uguali a 50 Gy associate o meno alla chemioterapia o in caso di radioterapia non convenzionale 22, Il meccanismo fisiopatologico alla base del danno attinico e i dati documentati sulla tossicità da radioterapia potrebbero rappresentare il presupposto teorico all’uso di una terapia farmacologia precauzionale (gastroprotezione) in pazienti sottoposti a radioterapia sulla regione gastrica. In realtà la revisione della letteratura documenta pochissime esperienze, in genere retrospettive, e condotte su casistiche limitate che hanno utilizzato inibitori dell’istamina (anti-H 2 ) o sucralfato, rendendo pertanto impossibile qualunque tipo di interpretazione. Recentemente, alcuni studi hanno documentato l’efficacia dell’amifostina nella profilassi delle mucosità sebbene in altri distretti corporei 23,24, Nonostante i risultati siano stati ottenuti su un tessuto (mucosa) che ha lo stesso comportamento alle radiazioni ionizzanti, il suo impiego è da ritenersi prematuro anche nella prevenzione delle mucosità gastriche in pazienti a maggior rischio di complicanze attiniche. Pertanto, si può concludere che attualmente non vi sono evidenze per l’uso nella pratica clinica della gastroprotezione in radioterapia. È comunque necessario ottenere una migliore definizione clinico-strumentale delle complicanze attiniche, tenuto conto dei benefici che la radioterapia da sola o integrata alla chemioterapia ha ottenuto, rispettivamente, nella terapia palliativa in generale e nel trattamento del cancro gastrico e pancreatico. Bibliografia 1. Aggarwal SK et al. Cisplatin-induced peptic ulcers, vagotomy, adrenal and calcium modulation. Anti Cancer Drugs 1994; 5,177-93.2. Sartori S et al. Acute gastroduodenal mucosal injury after cisplatin plus etoposide chemotherapy. Oncology 1991; 48 : 356-61.3. Polloni A et al. Pirenzepine versus ranitidine in gastroprotection during antiblastic chemotherapy: a double-blind study. Chemioterapia 1986; 5 : 420-3.4. Contu A et al. Ruolo preventivo della pirenzepina nel danno gastrico in corso di terapia citostatica. Minerva Dietol Gastroenterol 1989; 35 : 269-72.5. Mori K et al. 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Fausto Roila Divisione di Oncologia Medica, Policlinico di Perugia Marco Lupattelli U.O. Radioterapia Oncologica, Policlinico di PerugiaCosa ti iniettano con la chemioterapia?
Chemioterapia: cos’è, come agisce e a cosa serve
oncologia Pubblicato il 10.10.18 di Aggiornato il 14.08.20
La chemioterapia è una terapia medica rivolta principalmente a colpire tumori solidi ed ematologici e consiste nella somministrazione di farmaci detti citotossici o che sono impegnati nella distruzione delle cellule tumorali.
Quale tumore si cura con il cortisone?
Page 2 – Il cortisone e le altre sostanze della famiglia dei corticosteroidi sono un gruppo di ormoni appartenenti alla classe degli steroidi, che sono prodotti dalla corteccia delle ghiandole surrenali, e sono spesso utilizzati per ridurre l’accumulo di fluidi (edema) che spesso si forma intorno a un tumore cerebrale.
Questi farmaci possono alleviare temporaneamente i sintomi del tumore, migliorare i sintomi neurologici, promuovere una sensazione di benessere e aumentare l’appetito. Sebbene lo scopo dei corticosteroidi è quello di ridurre l’edema e non la dimensione del tumore stesso, essi hanno anche un effetto tossico su alcune cellule tumorali, in particolare del linfoma primario del sistema nervoso centrale (PCNSL).
Gli steroidi possono essere prescritti prima, durante o dopo l’intervento chirurgico. Di solito vengono dati quando la RM mostra segni di edema o se il paziente ha sintomi di pressione intracranica. Poiché la radioterapia può causare un edema, di solito viene accompagnata con farmaci della famiglia del cortisone.
Quante possibilità ci sono di guarire da un tumore?
Figura 2. Tempo per la guarigione dopo un tumore in Europa – Per i pazienti che non guariranno, lo studio ha mostrato che la sopravvivenza mediana è generalmente aumentata nei 10 anni di osservazione dello studio. Varia molto tra le forme tumorali: da circa 10 anni per i pazienti con leucemie linfatiche croniche a meno di 6 mesi per i pazienti con tumori del fegato, pancreas, polmone e sistema nervoso centrale, è di oltre 5 anni per i pazienti che non guariscono dopo tumori della mammella e della prostata.
- Per i malati di cancro, lo studio fornisce solide conferme a un’evidenza di grande rilievo socio-sanitario: sono molti i tumori dai quali si può guarire e non solo essere curati.
- Gli indicatori sono stati calcolati per la prima volta in modo sistematico a livello europeo per tipo di tumore, per sesso e per gruppi di età.
Letti congiuntamente, restituiscono lo stato dell’arte sulla capacità dei sistemi sanitari e delle moderne tecnologie di affrontare e sconfiggere, in un’ottica di guarigione, le numerose forme di malattie neoplastiche. Sapere quali sono i tempi di guarigione fornisce un sostegno alle iniziative di supporto al pieno recupero delle persone cui è stata diagnosticata una malattia tumorale.
Queste evidenze offrono ai clinici l’opportunità di calibrare meglio i loro interventi sui pazienti e consente anche ai decisori politici di organizzare l’assistenza oncologica nella maniera più efficace ed efficiente. Lo studio con i dettagli dei metodi utilizzati e dei risultati è pubblicato su Int J Epidemiology 2020, Dal Maso L, Panato C, Tavilla A, Guzzinati S, Serraino D, Mallone S, Botta L, Boussari O, Capocaccia R, Colonna M, Crocetti E, Dumas A, Dyba T, Franceschi S, Gatta G, Gigli A, Giusti F, Jooste V, Minicozzi P, Neamtiu L, Romain G, Zorzi M, De Angelis R, Francisci S, and the EUROCARE-5 Working Group.
Chemioterapia: I 10 MITI SFATATI
The cure of cancer in Europe: results from the EUROCARE-5 study for 32 cancer types. Ringraziamenti: EUROCARE-5 Working Group, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e Commissione Europea (IPAAC).
Cosa succede se non si può fare una seduta di chemioterapia?
Posticipare i trattamenti per il cancro può costare la vita. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal ha calcolato che ritardare di un mese l’intervento chirurgico, la chemioterapia o la radioterapia può aumentare dal 6 al 13 per cento il rischio di morire di tumore.
Cosa mangiare durante la chemio per aumentare i globuli bianchi?
Da preferire: cereali integrali e legumi (lenticchie rosse e legumi interi) sotto forma di crema, riso integrale, verdura verde, pesce azzurro, frutta secca non salata, soia e olio extravergine di oliva.
Quali sono le metastasi più pericolose?
Metastasi cerebrali da tumore al seno : le più pericolose.